Alesia

Caesar, De bello Gallico, VII, 69

Ipsum erat oppidum Alesia, in colle summo admodum edito loco, ut nisi obsidione expugnari non posse videretur. Cuius collis radices duo duabus ex partibus flumina subluebant. Ante id oppidum planities circiter milia passuum III in longitudinem patebat; reliquis ex omnibus partibus colles mediocri interiecto spatio pari altitudinis fastigio oppidum cingebant. Sub muro quae pars collis ad orientem solem spectabant, hunc omnem locum copiae Gallorum compleuerant fossamque et maceriam in altitudinem VI pedum praeduxerant. Eius munitionis quae ab Romanis instituebatur circuitus X milia passuum tenebat. Castra opportunis locis erant posita ibique castella XXIII facta; quibus in castellis interdiu stationes ponebantur, ne qua subito eruptio fieret: haec eadem noctu excubitoribus ac firmis praesidiis tenebantur.

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Il racconto di Cesare nel De bello gallico: CLICCA QUI.

La versione di Plutarco (Vita di Cesare, 27, trad. di C. Carena, in Vite parallele, vol. II, Einaudi, Torino 1958)

Per il momento, tuttavia, la maggior parte dei fuggiaschi ripararono col re nella città di Alesia. Cesare vi pose l’assedio, benché sembrasse imprendibile: grandi mura la cingevano, e i suoi difensori erano numerosissimi. Ma in un pericolo più grave di quanto si possa descrivere venne a trovarsi per il sopraggiungere di forze nemiche alle sue spalle: un’armata di trecentomila uomini, il fior fiore di tutta la Gallia, si concentrò e marciò in armi verso Alesia. Le truppe che si trovavano in città non ascendevano a meno di centosettantamila combattenti: Cesare fu preso in mezzo tra due forze nemiche di tale entità e si trovò a sua volta assediato, tanto da essere costretto a erigere, per difendersi, due muri, uno verso la città, l’altro verso coloro che erano venuti a liberarla. Era chiaro che se le due armate si fossero congiunte, la sua sorte sarebbe stata irrimediabilmente segnata. Il pericolo che Cesare corse sotto Alesia gli procurò a ragione, per molti motivi, grande fama: egli vi spiegò atti di ardimento e di destrezza quali mai aveva compiuto nelle lotte precedenti. Ciò che meraviglia soprattutto è il modo come Cesare riuscì ad azzuffarsi con tante decine di migliaia di uomini, quanti erano quelli che l’assalivano dall’esterno, e a vincere, senza che gli altri, quelli chiusi in Alesia, se ne accorgessero: dirò di più, senza che se ne accorgessero persino i Romani che erano schierati a difesa del muro costruito di fronte alla città. Essi seppero della vittoria dei compagni quando la battaglia era finita e udirono davanti a sé un gemere d’uomini, le donne che si battevano il capo in segno di lutto; e dalla parte opposta videro i Romani che portavano nell’accampamento in grande numero targhe ornate d’argento e d’oro, corazze arrossate di sangue, e poi coppe e tende di foggia gallica. Un’armata così grande fu dispersa così rapidamente, svanì come un fantasma o un sogno, poiché la maggioranza dei suoi componenti cadde in battaglia. Le truppe che occupavano Alesia procurarono ancora non pochi guai a se stesse ed a Cesare, ma alla fine si arresero. Colui che aveva diretto tutta la guerra, Vercingetorige, indossò l’armatura più bella, bardò il cavallo, uscì in sella dalla porta e andò a compiere un giro intorno a Cesare, che lo aspettava seduto. Quindi scese da cavallo, si spogliò di tutte le armi che portava e si assise ai piedi di Cesare, immobile, finché non venne consegnato alle guardie per essere custodito in vista del trionfo.

La resa di Vercingetorige (De Bello gallico, 89 1)

Postero die Vercingetorix, concilio convocato, id bellum suscepisse se non suarum necessitatum,  sed communis libertatis causa demonstrat, et quoniam sit Fortunae cedendum, ad utramque rem se illis offerre, seu morte sua Romanis satisfacere seu vivum tradere velint. Mittuntur de his rebus ad Caesarem legati.  Iubet arma tradi, principes produci. Ipse in munitione pro castris consedit; eo duces producuntur. Vercingetorix deditur, arma proiciuntur.  Reservatis Haeduis atque Arvernis, si per eos civitates recuperare posset, ex reliquis captivis toti exercitui capita singula praedae nomine distribuit.

Il giorno successivo Vercingetorige, convocato il consiglio, dichiara di aver intrapreso la guerra non in vista del proprio interesse privato, 2. ma per la libertà comune e, poiché bisogna arrendersi alla sorte, si metteva a loro disposizione per l’una o l’altra delle due cose: sia che volessero dar soddisfazione ai Romani con la sua morte, sia che volessero consegnarlo vivo. Su queste proposte vengono inviati a Cesare degli ambasciatori.Si mandano ambasciatori a Cesare per la resa. Ordina di consegnare le armi e di condurgli i capi. Egli siede sul terrapieno davanti al campo; là sono condotti i capi. Vercingetorige si consegna, le armi sono gettate davanti a lui. A parte gli Edui e gli Arverni, attraverso i quali sperava di poter recuperare i rispettivi popoli, degli altri prigionieri ne distribuisce uno a testa come preda a tutto l’esercito.

Francois Emile Ehrmann (1833-1910), Vercingetorix, Clermont-Ferrand, Musee Bargoin

Dal film Vercingetorix (2001).

Dal film  The siege of Alesia.

De bello gallico: quale giudizio?

“Una campagna provocata a freddo, senza un vero pericolo, una vera minaccia; la distruzione della precedente civiltà lentamente soppiantata dalla romanizzazione; un genocidio di impressionanti proporzioni secondo la convergente testimonianza di Plinio e di Plutarco. Il tutto per una finalità che, nel principale protagonista e motore dell’impresa, è chiaramente la cinica utilizzazione di un siffatto genocidio per la lotta politica interna. […] La concezione estatica, perciò, così frequente al cospetto della conquista cesariana della Gallia, vista come un’altra delle “orme” che una sorta di provvidenza della storia avrebbe voluto lasciare sul terreno per il suo tramite, rischia di essere davvero fuorviante. Essa fu fatta propria da grandi interpreti, come Mommsen e numerosi altri dopo di lui, i quali non solo hanno nobilitato quella feroce conquista ponendola sullo stesso piano della ellenizzazione dell’Oriente per opera di Alessandro, ma soprattutto hanno accreditato a Cesare una intenzione weltgeschichtliche (‘storica di portata universale’), che forse non albergava nella mente del proconsole delle Gallie, e certo non fa neanche lontanamente capolino dai suoi pur forbiti e finemente elaborati commentarii su quella quasi decennale impresa guerresca. […]

Il “libro nero” della conquista romana della Gallia lo scrisse Plinio il Vecchio, nel settimo libro della Storia naturale (91-99). È un “libro nero” – per usare un’espressione ora in voga – di straordinaria durezza. Vengono lì messi a paragone i crimini di Cesare con il ben diverso bilancio della lunga carriera politico-militare di Pompeo. Senza contare i moltissimi morti causati dalla guerra civile, provocata da Cesare col passaggio del Rubicone, quattro anni di efferata guerra fratricida dovuta all’ambizione di un uomo, senza procedere dunque a questa contabilità relativa al conflitto civile, bisogna ricordare – scrive Plinio – il 1200000 morti massacrati da Cesare al solo fine di conquistare la Gallia. “Io non posso porre – dice Plinio – tra i suoi titoli di gloria un così grave oltraggio da lui arrecato al genere umano”. E accusa Cesare di avere per giunta occultato le cifre del grande massacro: “non rivelando l’entità del massacro causato dalle guerre civili, Cesare ha riconosciuto l’enormità del suo crimine” (VIII, 92).  Storici più compiacenti, come Velleio Patercolo, parlano di 400000 morti in Gallia e altrettanti e più prigionieri (II, 47, 1). Plutarco conosce la cifra «tonda» di un milione di vittime e un milione di prigionieri (Pompeo 67, 10; Cesare 15, 5). E nella vita di Catone minore parla di 300000 Germani uccisi (51, 1). Appiano, nei frammenti del Libro celtico (1, 12), racconta di 400000 morti soltanto nella campagna contro gli Usipeti e i Tenderli (55 a.C.).
In Plutarco non vi è peraltro alcun accento critico quando vengono fornite quelle cifre. Al contrario esse sono parte essenziale di un raffronto tra Cesare e tutti gli altri condottieri romani, a tutto vantaggio di Cesare. E quei massacri e quelle masse sterminate di prigionieri sono – per il biografo greco – indizio di maggiore grandezza. È in Plinio che si manifesta, con toni di forte indignazione, la condanna morale nei confronti del crimine cesariano, dell’offesa – come egli dice – all’umanità. Cesare stesso peraltro non aveva avuto, su questo punto, un atteggiamento occultatore.  Ecco, per fare un solo esempio, come narra la carneficina dei Belgi in fuga: “Fu massacrata tanta moltitudine di nemici quanta fu la durata del giorno. Al tramonto del sole i soldati smisero d’inseguire e si ritirarono, sì come era l’ordine, negli accampamenti”. […] Naturalmente la romanizzazione della Gallia è fenomeno di tali proporzioni storiche da imporre la domanda se la contabilità dei morti proposta da Plinio con estrema chiarezza (e con l’accusa bruciante a Cesare di aver nascosto le cifre) non debba tuttavia cedere il passo, in sede di bilancio storico, a quello che può considerarsi l’evento cruciale nella formazione dell’Europa medievale e poi moderna: la romanizzazione dei Celti, dovuta appunto alla conquista cesariana.
L. Canfora, Giulio Cesare. Il dittatore democratico, Laterza, Bari-Roma 2006, 132 e ss.

Henri-Paul Motte (1846-1922), Vercingetorix si arrende a Cesare, 1886, musée Crosatier, Le Puy-en-Velay

PER APPROFONDIRE

G. ZECCHINI, Vercingetorige, Laterza 2002 

J.L BRUNAUX, Alésia, 27 septembre 52 av. J.-C., Gallimard, 2012

L’assedio di Alesia: CLICCA QUI.

Vercingetorix, filmato didattico a cura di Historia civilis (in lingua inglese).

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