Gli Etruschi in mostra a Bologna

Eva Cantarella, Gli spiriti di un popolo. Etruschi, la vita «normale» dell’aldilà e sui diritti civili arrivarono per primi, “Corriere della Sera“, 23 ottobre 2014

La parola che un tempo tornava più spesso quando si parlava della civiltà etrusca era «misteriosa». A contribuire a questa fama stava, in primo luogo, il problema delle sue origini: chi era, da dove veniva quel popolo stanziato nel II millennio a.C. nell’attuale Toscana? Per Erodoto si trattava di genti venute dall’Asia minore, mentre secondo Dionigi di Alicarnasso erano una popolazione indigena. 
Ma la dottrina moderna ha risolto il mistero: la civiltà etrusca (la cui la lingua, registrata in una scrittura simile al greco, è da tempo decifrata) nacque dalla fusione tra correnti migratorie anatoliche e popolazioni indigene prelatine. A livello popolare, poi, torna spesso l’idea, alimentata dalla gran quantità dei monumenti sepolcrali lasciati dagli etruschi, di un misterioso rapporto di questi con la morte. 
Ma la spiegazione di questa abbondanza è semplice: le tombe erano costruire con materiali più nobili e dunque meno deperibili di quelli usati per le case di abitazione, che quindi sono andate perdute. Quella che può sembrare una singolare attrazione per l’aldilà (popolato di demoni non diversamente da quello dei greci e dei romani) è solo la conseguenza del modo in cui gli etruschi concepivano la vita oltre la morte: per loro, infatti, era una vita assolutamente identica a quella terrena, con la sola differenza che era eterna. Nelle tombe dunque nulla di quello che il defunto aveva avuto e di cui aveva avuto bisogno in vita doveva mancare: dalle suppellettili agli oggetti di uso quotidiano, dagli abiti ai segni del potere. Insomma, l’ideologia funeraria degli etruschi era tutt’altro che inquietante. In definitiva, non è il mistero quello su cui val la pena riflettere, ma qualcosa di più importante: è il problema dei possibili influssi della loro cultura su quella della vicina Roma — sulla quale, sul finire dell’età regia dominarono ben tre re etruschi. 
Cominciamo, dal campo del diritto criminale: un’antichissima legge voleva che il colpevole di perduellio (alto tradimento) venisse sospeso con una corda a un arbor infelix (albero infelice) e fustigato a morte. Ebbene, al di là del fatto che la distinzione tra alberi felici e infelici (di buono e di cattivo auspicio), era etrusca, come scrive Cicerone questa legge venne introdotta dal re etrusco Tarquinio il Superbo. Passiamo alle pratiche sociali: anche i giochi gladiatori erano stati importati dall’Etruria, dove venivano praticati durante i funerali in onore del defunto. Ma quel che più interessa è vedere se e come la cultura etrusca agì sulle strutture fondamentali della civitas romana e in particolare sulla famiglia, che i romani consideravano il fondamento della stabilità dello Stato. Per ragionare su questo tema, bisogna ricordare che originariamente, sia in Grecia sia a Roma, le donne erano totalmente subordinate ai maschi della famiglia, e che in Grecia la situazione rimase praticamente immutata fino all’età ellenistica. A Roma, invece, verso la fine della repubblica, le donne nel campo del diritto privato avevano raggiunto una quasi totale parificazione con i diritti maschili. È lecito pensare che alla base di questo fenomeno stia l’influsso del mondo etrusco, dove le donne godevano di ben altra libertà e ben altri diritti? 
Sia ben chiaro. Non si intende, con questo, riesumare la teoria da tempo ampiamente superata del cosiddetto matriarcato etrusco, né quella, indimostrata, che parla della sua matrilinearità (trasmissione del nome e del patrimonio in linea femminile). Ma questo non toglie che le donne etrusche, a differenza di quelle romane, fossero parte attiva della vita sociale: ad esempio, partecipavano ai banchetti stando sdraiate e non sedute, come le romane, che tra l’altro erano ammesse solo alla prima parte della cena, quando non si beveva vino. 
Erano «coltivate», godevano di autonomia patrimoniale; disponevano liberamente dei loro beni. È possibile che il progressivo riconoscimento di diritti alle romane (in particolare, quello di ereditare il patrimonio paterno insieme e al pari dei fratelli, cosa mai concessa alle ateniesi) fu conseguenza dell’influsso etrusco? Difficile provarlo ma l’ipotesi è più che plausibile. A ben vedere, gli etruschi ci sono molto meno estranei di quanto siamo soliti pensare. 

etruschi
Andrea Rinaldi, Vasi, sculture e ologrammi. Come si ricostruisce la storia
Accanto ai reperti, il sarcofago degli Sposi virtuale

Come negli scritti di Tito Livio, dove Felsina, l’antico nome di Bologna, si era guadagnata il rango di insediamento più importante tra i 12 che costituivano la confederazione etrusca della pianura Padana. Come allora, il capoluogo emiliano torna al centro dell’Etruria del Nord Italia con una mostra che, nei temi e nell’allestimento vuol segnare uno spartiacque nel tradizionale racconto del passato. 
Fino al 22 febbraio, infatti, Palazzo Pepoli-Museo della Storia di Bologna sarà il teatro di Il viaggio oltre la vita. Gli etruschi e l’aldilà tra capolavori e realtà virtuale , un allestimento dove i reperti, alcuni dei quali provenienti dal museo di Villa Giulia di Roma, dialogheranno con musica, design e soluzioni di avanzata tecnologia. «Abbiamo sempre ritenuto che il multimediale fosse importante per integrare quello che viene fatto con le parole e le immagini, cioè per sposarsi con il tradizionale, con il libro, con la lettura, anche se non può essere esclusivo», argomenta Fabio Roversi Monaco, presidente di Genus Bononiae, il circuito dei musei a cui fa capo Palazzo Pepoli. 
Realizzata da Genus Bononiae, Fondazione Carisbo e Museo Villa Giulia, l’esposizione presenterà reperti per la prima volta fuori dal museo romano come alcune ceramiche figurate, due sculture in pietra da Vulci e Cerveteri, vasi attici da tombe etrusche come il Cratere di Euphronios, trafugato e poi restituito all’Italia dagli Stati Uniti e la trasposizione della Tomba della Nave di Tarquinia, le cui pareti sono state rimontate su pannelli così da ricreare nelle sale del Palazzo l’ambiente sepolcrale viterbese. Ci saranno anche tre stele felsinee figurate, due di più antico rinvenimento e una di più recente scoperta, tutte e tre importantissime per la ricostruzione dell’immaginario funerario della città e per la rappresentazione del viaggio del defunto verso l’aldilà. Ma c’è un’altra ricostruzione, questa virtuale. È l’installazione, firmata dal regista Giosuè Boetto Cohen e realizzata dal Cineca, che riproduce il famoso Sarcofago degli Sposi, simbolo della civiltà etrusca e di cui esistono solo due esemplari, uno appunto a Villa Giulia e uno al Louvre. Nella Sala della Cultura di Palazzo Pepoli, dove si potrà assistere allo spettacolo a gruppi di 30 persone, 21 proiettori illustreranno la storia degli antichi villanoviani su tre pareti, giocando quindi su uno schermo di 38 metri per 12, mentre in una teca al centro comparirà l’ologramma del Sarcofago a grandezza naturale e in ogni suo dettaglio. Lo spettacolo è in 4 atti e dura 11 minuti, scandito dalle musiche di Marco Robino, già al lavoro con Peter Greenaway, e di un quintetto d’archi (il musicista suonerà oggi all’inaugurazione). «Tutti i musei hanno il problema di comunicare con un pubblico oggi che non parla più la loro lingua colta. Chi vuole consegnare qualcosa deve farlo con mezzi nuovi. Ecco la nostra sfida», osserva Boetto Cohen a proposito di questa narrazione innovativa. 
Tant’è che oltre al progetto del Sarcofago, il regista ha curato anche un film per illustrare il legame tra Etruria del Sud e quella del Nord. Boetto Cohen già nel 2011, per conto di Genus Bononiae, aveva realizzato un corto 3d sulla Bologna villanoviana, in cui a dar voce al piccolo etrusco Apa era stato Lucio Dalla. Adesso invece il testimone passa a Sabrina Ferilli, che farà parlare una donna etrusca in «Ati alla scoperta di Veio». Il corto verrà proiettato all’interno della mostra e rimarrà nella collezione permanente di Villa Giulia. 


Mariangela Cerrino, E Lariza riaccolse Xestes sulla tomba. «Così staremo per sempre insieme»

Il sole era al tramonto, e la facciata del Tempio della Dea Uni ne assorbiva lo splendore. Non era mai stato tanto magnifico. Il suo riflesso si stemperava nella vasca colma di acqua purificatrice, appena al di fuori del recinto interno, ma era distorto dal vento che ne increspava la superficie, e i colori erano confusi. Xestes evitò di soffermarsi sulle immagini mutevoli che si creavano: potevano portargli presagi infausti. 
Xestes si voltò, perplesso, a guardarlo. Pyrgi, la bella città-porto di Xaire, era traboccante di vita, di suoni, di marinai e di mercanti indaffarati. Lui riusciva a distinguere le vele ripiegate delle holkades alla fonda, cullate dalle onde, ma le banchine gli apparivano deserte, e il ricco quartiere appena oltre giaceva nell’oscurità. Perché i servi tardavano ad accendere i lumi? Perché le innumerevoli locande non avevano dinanzi alle soglie le torce e i bracieri accesi? Eppure c’era una musica… un suonatore di doppio flauto, nascosto, era così abile che la melodia si espandeva in ogni dove. Tuttavia era inconsueta e toccando toni ora acuti ora gravi si ripeteva, sempre uguale, trascinando la mente in una sorta d’incantamento. 
Xestes rabbrividì. Perché era lì, sul finire del giorno? Lui era di Tarchna e Pyrgi non era la sua città, così come non lo era Xaire. La sua famiglia era imparentata con i Tarquini e lui ricopriva una carica importante. Ma provava un senso di smarrimento, pensandoci. Qual era la sua funzione nella sua città? Non riusciva a ricordarlo. Tutto quello che sapeva era che aveva compiuto le sue dieci settimane di sette anni ciascuna e che, come insegnava la Disciplina di Tagete, il legame con gli Dei creato al momento della sua nascita si era dissolto. Forse per questo gli era così difficile ricordare? 
Poi la vide. Forse era uscita dal Tempio, di certo non gli era passata accanto. Sostava immobile sul lato opposto della vasca e l’ultimo bagliore del sole la coronava di luce. Il chiton leggero brillava come se fosse cosparso d’oro. I capelli scuri erano raccolti in due trecce pesanti a ogni lato del viso, ma sulle spalle erano liberi. Quanto aveva amato quei capelli! 
Gli sembrò che il cuore mancasse un battito e che, di rimando, l’intero universo restasse immobile. «Lariza?» mormorò. Lei gli sorrise, muovendosi per raggiungerlo. Gli sembrò più giovane dell’immagine che aveva nella mente. Ma poi la donna gli arrivò accanto, e intrecciò le mani alle sue. «Ti ho atteso, come mi avevi chiesto di fare», disse, e Xestes la attirò contro di sé, e sentì il suo calore avvolgerlo, e la felicità colmarlo. «Te l’ho chiesto? Quando?» «Quando hai voluto i nostri corpi modellati per la nostra tomba. Ricordi quello che hai detto? Niente potrà dividerci. Saremo insieme per l’eternità, e quello che andrà per primo aspetterà nel giorno senza tempo che l’altro lo raggiunga». Xestes ora ricordava. Avevano persino riso quando l’artista (fatto venire da Tarchna!) aveva infine mostrato loro l’opera compiuta. 
«Questi sposi non ci somigliano poi così tanto…», era stato il suo commento d’allora. Ma poi aveva compreso. Non era solo argilla. Avevano voluto trattenere uno dei loro tanti momenti felici e un frammento della loro essenza si era amalgamato alla materia, e vi sarebbe rimasto infuso, fino alla fine del Tempo del Mondo. 
Lariza sorrise, prendendolo per mano. «Ricordi il giorno delle nostre nozze? Abbiamo chiesto alla Dea Uni di custodire il nostro amore come un tesoro prezioso. Proprio qui». Xestes annuì. Era stato il giorno più bello della sua vita! Ricordava che per lei aveva scelto di lasciare la sua città, e di rinunciare agli onori dovuti alla sua famiglia, accettando l’incarico più modesto di zilath a Xaire. «Sei pentito di quella scelta?» sussurrò Lariza, con un sorriso. «Di aver passato la mia esistenza con te a Xaire? Non me ne sono mai pentito e non me ne pento ora». Le passò un braccio intorno alla vita; scesero fino alla battigia e sedettero sulla sabbia. «Così, siamo finalmente insieme nel giorno senza tempo», comprese Xestes. «Sono morto». Lariza gli poggiò la testa sulla spalla. L’onda lieve lambiva loro i piedi e il cielo si era chiuso in una sfera brillante di stelle. «I nostri figli hanno appena deposto le tue ceneri unendole alle mie, nel sarcofago», sussurrò la donna. «Ora siamo sposi nell’eternità». 

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Il sito latinorum.tk è nato per accompagnare le mie lezioni dedicate alla cultura latina, per proporre divagazioni "extra ordinem" sulla classicità e per condividere in rete percorsi e materiali. Si tratta di un lavoro in fieri, che si arricchirà nel tempo di pagine e approfondimenti. Grazie anticipatamente a chi volesse proporre commenti, consigli, contributi: "ita res accendent lumina rebus…" Insegno Italiano & Latino al Liceo Scientifico ”G. Galilei” di San Donà di Piave, in provincia di Venezia. Curo anche il blog illuminationschool.wordpress.com e un sito dedicato a Dante e alla Divina Commedia, www.dantealighieri.tk.
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