Anfipoli. L’ultimo segreto di Alessandro Magno

Viaggio alla scoperta dei misteri di un miracolo archeologico, tra fascinose cariatidi, sfingi acefale e mosaici mai visti
Gli studiosi si dividono, giornali e tv si scatenano, i turisti si accalcano, la domanda è una sola: davvero questo mausoleo del IV secolo era la tomba del grande macedone?
Pietro Del Re, “La Repubblica”,  16 ottobre 2014

AMPHIPOLIS. IL ronzio di un generatore è il solo indizio delle attività che fervono nelle viscere del tumulo Kastà, una collina argillosa tra i mandorleti dell’antica Amphipolis. A duecento metri dall’entrata degli scavi, ci ferma un poliziotto intirizzito dal vento gelido che scende dal vicino Monte Pangeo. L’ingresso al più grande monumento funebre mai rinvenuto in Grecia è ancora vietato ai più. Mezz’ora dopo, lo stesso cerbero in divisa bloccherà un ambasciatore che da Atene ha appena percorso 700 chilometri per visitare il ritrovamento archeologico, la tomba del Quarto secolo prima di Cristo che fa trepidare un intero Paese e che qualcuno sta già usando come antidoto patriottico contro le devastazioni della crisi economiche. Al momento, il solo non addetto ai lavori penetrato là sotto è stato il premier greco Antonis Samaras, che lo scorso agosto, con le scarpe ancora inzaccherate di fango, ha dichiarato che da questa straordinaria scoperta partirà il rinascimento della Grecia, «perché sono certo che qui sia sepolto un grande». In attesa che gli esperti riescano a svelare di chi sia la tomba di Amphipolis, l’intera Ellade è sospesa nel limbo delle illazioni, mentre i suoi abitanti trattengono il fiato per la prossima apertura della quarta stanza sotterranea, che è forse la camera funeraria. Ma può davvero esserci Alessandro il Grande, come tutti sperano? L’ipotesi è stata scartata da molti studiosi, ma non da tutti. Lo storico Sarantos Kargakos sostiene che Olimpiade, madre di Alessandro, fece segretamente trasferire il corpo di suo figlio ad Amphipolis: «L’imponenza del monumento è la prova che fosse dedicato a una delle più importanti personalità dell’epoca. E a quei tempi chi era più importante di Alessandro?». La teoria di Kargakos sembra confortata dal fatto che la collina non nasconda, come si credeva, molte tombe macedoni, bensì un unico grande mausoleo, di ciclopiche proporzioni: 498 metri di circonferenza, 87 di diametro, con al suo interno tre stanze finora esplorate che contengono due Cariatidi di grandiosa raffinatezza, due sfingi decapitate messe a guardia dell’ingresso e un ampio mosaico di cui si è venuti a sapere solo tre giorni fa.
Dallo scorso luglio, lo scavo è seguito con lo stesso entusiasmo di una storica finale calcistica, probabilmente anche come risposta psicologica alla grande crisi — ieri Atene si è di nuovo trascinata le Borse negli abissi — che ancora attanaglia il paese. Quindi la copertura mediatica è totale. «È diventato un reality show dell’archeologia, e tutti i greci aspettano con il batticuore la puntata successiva», dice Nikolaos Zirganos, cronista del quotidiano Ephimeride Syntakton, una cui recente inchiesta sul traffico illegale di reperti ha fatto sì che importanti musei americani restituissero alla Grecia i pezzi trafugati. «Ogni giorno i quotidiani dedicano almeno due pagine ad Amphipolis, e tutte le televisioni ci aprono i loro tiggì. È diventata un’ossessione. E c’è da chiedersi perché ciò avvenga solo per questa tomba, di cui ancora non si è certi al cento per cento che sia di epoca alessandrina, né se sia stata già trafugata o meno dai tombaroli, mentre ci sono oggi altri trecento scavi altrettanto importanti in Grecia».
Ovviamente una scoperta di un simile calibro offre materia a non finire per le polemiche. La figlia del grande archeologo Dimitri Lazaridis, che negli anni Sessanta scavò ad Amhipolis, ma che non ebbe la fortuna di rinvenire le camere con le sfingi e le cariatidi, ha scritto una lettera ai giornali per denunciare l’eccessivo battage che circonda il recente ritrovamento. Altri studiosi criticano invece il metodo «poco scientifico» che accompagna la divulgazione dei lavori in corso. Dice Yannis Karliambas, eminente membro dell’Associazione degli archeologi greci: «Non mi piace l’enfasi che circonda il tumulo Kastà, perché è puramente politica. Prima di svelare il contenuto di uno scavo è necessario attendere la fine dei lavori. Si deve poi valutare l’importanza dei pezzi ritrovati, pubblicare il tutto e aspettare le reazioni dei colleghi, per trarre finalmente le prime conclusioni». Qui avviene l’esatto contrario, con il ministero della Cultura, anzi la pagina Facebook di una giornalista di Salonicco assunta ad hoc dal ministro stesso, che quotidianamente ammannisce foto e commenti sulla tomba. Quando gli chiediamo se anche lui crede che Amphipolis possa ospitare Alessandro Magno, Karliambas dice: «Da archeologo, non voglio neanche rispondere a una domanda del genere. Ma se vuole il mio parere personale, le dirò che lo escludo categoricamente. Semmai può essere la tomba di un generale di Alessandro, o di un suo parente. Di certo non è la sua».
Ma sono solo sterili polemiche secondo lo scrittore ateniese Christos Ikonomou, che ha narrato la crisi greca in sedici racconti tradotti anche in italiano (Qualcosa capiterà, vedrai, Editori Riuniti). Sostiene Ikonomou: «È meraviglioso che un popolo oppresso da tanti mali ritrovi la luce ritornando al suo glorioso passato. C’è tanta fierezza nella riscoperta di questa nostra antica grandeur . La speculazione e la propaganda nazionalistica sul tumulo Kastà è purtroppo il rovescio della medaglia di questa vicenda. Ma anche se i politici cercano di distrarre i greci dai loro problemi sfruttando le scoperte di Amphipolis, non mi sento di condannarli perché i loro schiamazzi serviranno comunque a far ripartire il turismo e l’economia locali, oltre che a tenere alto il nome della Grecia nel mondo».


Intanto, a Mesolakkia, il paesino agricolo più vicino allo scavo, gli abitanti sognano l’arrivo di una nuova, insperata ricchezza. Molti di loro sono già stati contattati da agenzie immobiliari che con folgorante tempismo intendono acquistare terre in loco per potervi costruire alberghi o ristoranti il giorno che la tomba verrà finalmente aperta al pubblico. All’unico bar del villaggio, incontriamo Stelos Zurnagis, agricoltore «ma non per molto tempo ancora», fermamente convinto che quella tomba sia di Alessandro. Dice Zurnagis, sfregandosi le mani: «Anche se gli archeologi ancora non si pronunciano, e anche se lo scavo è chiuso al pubblico, nei weekend già arrivano migliaia di curiosi da tutto il pianeta. Deve spesso intervenire l’esercito per tenerli alla larga dal tumulo Kastà». Come a dire che per lui e per gli altri contadini di Mesolakkia la quarta stanza del mausoleo, o la quinta e la sesta se dovessero esserci, sono già piene d’oro.

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Paolo Matthiae, La suggestione di Amphipolis, la terra dei sepolcri dei re

IL FASCINO avvincente della scoperta archeologica dipende dalla combinazione dell’attrazione derivante dalla concretezza materiale del ritrovamento e della suggestione imposta dal recupero della memoria del passato. Quel fascino è potenziato quando l’oggetto della scoperta è una tomba, è moltiplicato quando la tomba è di un personaggio regale, è al culmine se il titolare della tomba è un protagonista della storia. Di qualunque paese e di qualunque epoca.
La ricchezza, materiale o artistica, dei corredi e la grandiosità degli allestimenti funerari rendono queste scoperte leggendarie. La seconda metà del Novecento ha conosciuto almeno tre casi esemplari. Il rinvenimento, accidentale, in Cina nel 1974 di un settore della tomba di Qin Shi Huang, il primo imperatore della Cina, morto nel 210 a.C., presso Xi’an, con il suo spettacolare esercito di oltre 6.000 guerrieri di terracotta. La scoperta, tra il 1977 e il 1980, ad opera di Nicolis Andronicos, del grande tumulo di Vergina, non troppo lontano da Salonicco, dove si ritiene verosimile che sia stato sontuosamente sepolto Filippo II di Macedonia, il padre di Alessandro Magno, morto nel 336 a.C. Il ritrovamento in Perù nel 1987, da parte di Walter Alva della ricchissima tomba del cosiddetto Signore di Sipàn, un capo della cultura Moche, morto probabilmente nel III secolo d.C.
L’immaginario collettivo è stato sempre fortemente sollecitato, ieri come oggi, dalla speranza di trovare le tombe dei grandi uomini del passato. Nel Medioevo si sognava di trovare la tomba di Re Artù e nel 1191 i monaci di Glastonbury ritennero che la sepoltura di due personaggi di grande statura non poteva che essere quella del “famoso re Arturo, con Ginevra sua seconda moglie, nell’isola di Avalon”. Ancora oggi, le complesse ricerche archeologiche ad Alessandria non sono estranee all’idea di trovare tracce della celebre tomba del grande macedone, in cui fu sepolto dopo la traslazione del corpo da Babilonia dove finì i suoi giorni e il mistero della sepoltura di Gengis Khan, morto nel 1227, è una delle suggestioni che promuovono ricerche archeologiche in Mongolia.
Finora senza troppo scalpore malgrado diverse dichiarazioni ufficiali anche delle massime autorità della Grecia, l’antica colonia attica di Amphipolis in Macedonia è stata ripetutamente ricordata nelle cronache degli ultimi anni, da quando nel 2012 fu annunciato l’inizio degli scavi di un gigantesco tumulo funerario della fine del IV secolo a.C., lungo poco meno di 500 metri, circondato da un muro perimetrale alto ancora quasi 3 metri costruito in marmo di Thassos. La tomba di Amphipolis è il più monumentale sepolcro finora scoperto in Grecia ed è circa dieci volte più grande della tomba di Vergina attribuita a Filippo II.
Che la tomba di Amphipolis sia stata costruita per un personaggio regale è fuor di dubbio. Due sfingi alate oggi acefale vigilavano all’entrata. Una gigantesca statua leonina, oggi sistemata a qualche distanza dalla tomba, doveva essere, secondo Katerina Peristeri, responsabile dello scavo, il coronamento del monumento funerario. Uno splendido mosaico con la raffigurazione di Ermes che con il suo carro conduce nell’Ade il corpo dell’inumato, appena scoperto in uno dei primi vani della tomba ha un soggetto particolarmente appropriato: Ermes introduce nell’Oltretomba le anime dei defunti e sul celebre Cratere di Eufronio Ermes è rappresentato mentre assiste al trasporto del corpo di un eroe troiano nell’Aldilà.
La tomba fu certo saccheggiata in età romana e il mistero su chi vi fu sepolto o per chi fu costruita non è certo che sarà risolto alla fine della sua esplorazione. L’ipotesi più verosimile è che sia stata costruita, forse addirittura ad opera di Dinocrate un grande architetto amico di Alessandro, per uno dei diadochi o uno dei grandi generali del conquistatore macedone.
Ma come escludere che la spettacolare tomba non fosse proprio destinata ad Alessandro, dato che le fonti antiche ricordano che le spoglie del signore dell’Asia dovevano raggiungere la Macedonia per essere sepolte nella patria del gran re e che furono invece inopinatamente sottratte da inviati del fedelissimo Tolomeo per tumularle ad Alessandria? E, se questa ipotesi di eccezionale suggestione fosse fondata, chi mai avrà osato disporre di essere sepolto nel monumento funerario destinato al divino Alessandro?

P. Matthiae è archeologo, scrittore e orientalista, ed è stato direttore della spedizione italiana ad Ebla. Il suo ultimo libro è La città del Trono, Einaudi)

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