Archeologia in guerra

“Scaviamo vegliati dai peshmerga per salvare i tesori dell’Iraq”
Il direttore della missione archeologica italiana: “Danni gravissimi”

L’Isis stacca i bassorilievi dalle pareti per venderli sul mercato nero

Giordano Stabile, “La Stampa”, 3 marzo 2015

Un mondo ancora in gran parte inesplorato. Una terra promessa per gli archeologi che si è dischiusa solo da pochissimi anni, dopo che la dittatura di Saddam Hussein, con il suo tentativo di genocidio del popolo curdo, aveva congelato tutto. Il Nord dell’Iraq, il punto di incontro fra i grandi imperi dell’antichità, è un enorme tesoro archeologico, con al centro quella Mosul in mano allo Stato islamico da dove arrivano le immagini dello scempio  dell’antica Ninive.

«I danni sono incalcolabili – racconta l’archeologo Daniele Morandi Bonacossi, direttore della missione archeologica in Iraq dell’Università di Udine, appena tornato dalla regione -. Ed è impossibile il riscontro diretto. Il che è ancora più angosciante». Lo choc per il video dove gli islamisti mostrano la distruzione del museo di Mosul è ancora forte. «Dalle immagini possiamo capire che per fortuna alcune statue erano copie in gesso. Ma le altre, dove si vedono quegli sciagurati accanirsi con le mazze, erano originali».
Statue del periodo partico del sito di Hatra, bassorilievi assiri. E soprattutto i colossali tori androcefali, con la testa di uomo, provenienti dalla porta del dio Nergal, il dio che governava il mondo dei defunti». Quella di Nergal era la più importante delle quindici porte delle mura di Ninive, fatte costruire dal re Sennicherib.
Le mura di Ninive, l’antica capitale dell’impero assiro i cui resti sono all’interno dell’odierna Mosul, «che Sennacherib trasformò in una metropoli di 750 ettari con una cinta muraria lunga dodici chilometri, ancora molto ben conservata». Roma imperiale, la più grande città dell’antichità, aveva una superficie di 1800 ettari e mura lunghe 19 chilometri. Le mura di Ninive sono scampate a 2700 anni di storia turbolenta. Per lo meno fino all’arrivo del califfo Abu Bakr al Baghdadi, che ha promesso di demolirle.
«Fino a ora le notizie di distruzione non sono confermate – rassicura Morandi Bonacossi -. Un nostro collega, che non possiamo nominare per ragioni di sicurezza, è ancora a Mosul, e non ha riscontrato demolizioni. Ma nelle ultime settimane gli islamisti sembrano ancora più accaniti». C’è stato il rogo di diecimila libri antichi della biblioteca, l’assalto al museo, «e il saccheggio di Nimrud, altro sito importantissimo: hanno segato e asportato bassorilievi dell’IX secolo a. C. probabilmente per poi venderli sul mercato nero».
Il saccheggio degli islamisti, anche come fonte di finanziamento, è sistematico. E il timore è forte per gli altri siti del Nord iracheno sotto il dominio dello Stato islamico. Come Assur, culla della civiltà assira, Tikrit, e Samarra, «una delle grandi residenze dei califfi arabi abbasidi, con il suo magnifico minareto elicoidale», spiega l’archeologo. Più a Nord-Est, nel Kurdistan ora quasi indipendente, invece continua il lavoro di conservazione, protetto dai peshmerga, i combattenti curdi.
«La mia équipe è impegnata nel progetto Terra di Ninive – racconta Morandi Bonacossi – la ricostruzione, catalogazione e valorizzazione degli insediamenti nella campagna di Ninive, dalla preistoria agli ottomani». Con siti come Tell Gomel, il luogo della battaglia di Gaugamela dove nel 331 a. C. Alessandro Magno sconfisse i persiani. E uno straordinario sistema di acquedotti, il primo della storia, scoperto dagli italiani: «Se ne conosceva solo uno, ne abbiamo ritrovati altri quattro. In tutto 240 chilometri di canalizzazioni, con impressionanti ponti in pietra». Un’opera voluta dal re Sennacherib per irrigare, portare acqua a Ninive e «creare un paesaggio di tipo imperiale, secoli prima di Roma». Un tesoro inestimabile, protetto dalle mani degli archeologi. E dai peshmerga.

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