Domenico Comparetti. La disgrazia edipica

Oedipus Rex

Vidi la madre di Edipo, la bella Epicasta, che una grande colpa commise senza saperlo, sposò suo figlio: e il figlio la sposò dopo avere ucciso suo padre. Ben presto gli dei agli uomini lo resero noto. Egli tuttavia, nonostante il dolore, regnò sui Cadmei nella bella città di Tebe, per funesto volere dei numi; lei invece, in preda al dolore, alle travi dell’alto soffitto appese un laccio mortale e nelle dimore di Ade discese, guardiano inflessibile. E a lui lasciò tutte le pene che infliggono le Erinni di una madre.
Odissea, XI, vv. 271-280, trad. di M.G. Ciani.

Armando Torno, “Il Sole 24 ore –  Domenica”, 4 gennaio 2015

L’oracolo predisse che Edipo avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre: per tale motivo fu abbandonato alla nascita (e poi salvato e adottato da Polibo, re di Corinto). Quel complesso che porta il suo nome, individuato da Freud nel 1910, è l’insieme degli affetti che il bambino prova verso i genitori. Domenico Comparetti (1835-1927), celebre per l’opera Virgilio nel Medioevo (reperibile soltanto in antiquariato), professore di letteratura greca a Pisa tra il 1859 e il 1872, tenne un corso sulla leggendaria figura: ora tali pagine rivedono la luce con il titolo Edipo e la mitologia comparata.
Questo studioso, straordinario conoscitore di lingue, analizzò sino alle possibili etimologie sanscrite il mito e si chiese se il fatale appuntamento con la Sfinge (in Egitto rappresentata con il corpo maschile e la testa leonina) fosse credibile, se Edipo rispose all’enigma che essa gli pose, se la stessa idea di Sfinge preesistesse o no al mito, se l’episodio del loro incontro è da considerarsi aggiunto o ne sostituì un altro. Codesto mostro, che per i Greci nacque da un’unione tra Echidna e suo figlio Ortro, divorava i passanti presso Tebe se i malcapitati non riuscivano a risolvere l’enigma che poneva. Comparetti ricorda che nell‘Odissea – nell’XI libro si trovano riassunte in pochi versi le disgraziate avventure di Edipo – non si fa parola della creatura mostruosa; allo stesso modo sottolinea come l’autorevole Esiodo, che li cita entrambi, nella Teogonia offra un catalogo di esseri dalle caratteristiche lontane dall’ordine naturale, dei quali è detto anche chi li vinse, «ma della Sfinge ciò si tace».
Edipo, etimologicamente «dai piedi gonfi», divenne immortale dopo le citazioni di Omero e con le tragedie di Sofocle e Euripide; Comparetti, riferendosi al libro di Michel Bréal, Le Mythe de Oedipe, pubblicato a Parigi nel 1863, ricorda che può essere collegato ai miti solari. Ma è un semplice dettaglio. Le sue conclusioni sul significato di Edipo sono utili al mondo odierno più che ai filologi: «Una fatale combinazione può, indipendentemente dalla volontà, spingere a commettere delitti gravissimi. Può un uomo, senza volerlo e senza saperlo, essere delittuoso, e andare quindi soggetto a tutte le conseguenze del delitto» (pag. 46). Di più. Per lo studioso il racconto esprime il concetto con un caso di ordine puramente umano, al quale la divinità non ha parte, se non come tutrice delle leggi morali. E afferma: «Male morale e danno, male che si fa e male che si soffre, si identificano per il greco e, identificati, si esprimono con un’unica parola: Ate, disgrazia». Inseparabile compagna dell’umanità, spiega meglio di altri termini gli effetti delle nostre azioni, delle quali non sappiamo prevedere le conseguenze più o meno remote. Già, la dea Ate: Omero nell’Iliade (XIX, 91-94) la descrive: non tocca la terra e cammina leggera sui mortali e sugli dei inducendoli in errore. Fa loro commettere il peccato di hybris, ovvero tracotanza generata dall’assenza di misura.

Domenico Comparetti, Edipo e la mitologia comparata, Edizioni Pizeta, San Donato Milanese, pagg. 82

Su Edipo vedi anche https://www.latinorum.eu.org/teatro/seneca-tragedie/edipo/

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