Fisiognomica antica

Certo non agli uomini tutti fanno bei doni/ i numi: bellezza, senno, parola eloquente./ Uno può essere meschino d’aspetto/ ma un dio di bellezza incorona il suo dire; e tutti lo guardano/ affascinati: egli parla sicuro/ con garbo soave; brilla nelle adunanze,/ e quando gira per la città, come un dio lo contemplano./ Un altro, invece, per la bellezza è simile ai numi,/ ma corona di grazia le sue parole non hanno./ Così tu hai splendente bellezza: nulla di meglio /un dio potrebbe creare: ma sei vuoto di mente.
OMERO, Odissea,  VIII, 167-179

Carlo Carena, Faccia un pensiero“Il Sole 24 ore – Domenica”, 11 gennaio 2015

Dorella Cianci offre con Corpi di parole uno schizzo storico della fisiognomica nella Grecia antica intervallato da amabili soste ed excursus sull’ideale di bellezza (e di bruttezza) e sulle osservazioni del corpo umano in quella cultura filosofica e letteraria che al corpo umano ha dedicato tanta attenzione nella pratica di vita e in quella dell’arte. Il sottotitolo del volume è appropriatamente Descrizione e fisiognomica nella cultura greca. Nell’arte greca non c’è quasi altro che il corpo umano, e nella filosofia esso ha soffermato la meditazione, quando non ha esercitato anche la prassi dei pensatori più geniali e più eminenti. Ha creato addirittura una branca del sapere, la fisiognomica, collegando l’aspetto esteriore degli esseri, non solo dell’uomo, alle attitudini interiori. Già Aristotele argomentava che se un lupo è istintivamente feroce e una volpe astuta, probabilmente certi uomini che rassomigliano loro fisicamente nei movimenti, negli atteggiamenti, nei tratti del volto, nel colore della pelle, ne hanno anche le caratteristiche psichiche.
Per conto suo, era egli stesso un tipo da analizzare in base alle sue stesse dottrine, se dobbiamo dare retta al suo rivale Platone. Il quale, a detta di Eliano nella Storia varia, non soffriva il collega perché sempre vestito in modo ricercato, pavoneggiandosi con una grande quantità di anelli, loquace e inopportuno nel parlare, e «con un’espressione beffarda dipinta sul volto».
Assieme ai filosofi del V secolo, l’arte dell’analisi e del significato delle fisionomie è approfondita e utilizzata anche dai medici come strumento d’indagine sulle malattie e sui malati. Nel trattato ippocratico sui pronostici si insegna che nelle malattie acute il volto degli infermi si presenta col naso affilato, gli occhi cavi, le tempie infossate, le orecchie fredde, la pelle del viso rigida e secca, il colore giallastro o nero. L’occhio clinico è il compagno più sicuro del medico, come di tutti noi, perché, dice ancora Platone, quella della vista è «la più acuta delle sensazioni che ci procura il corpo». Di lì, dirà un grande poeta, Euripide, nell’Ippolito, Eros istilla la più formidabile fra tutte le passioni.
Ed ecco l’amabile bellezza. Sua regola fondamentale è l’armonia, presentata e analizzata molto bene e con coerente eleganza da Dorella Cianci in alcuni paragrafi dell’Introduzione. Il termine che la esprime, kosmos, si trova ripetutamente già nel loro primo genio poetico, Omero: kosmos è una forma ben fatta ma anche un ornamento, un gioiello. Cosmico è per Eraclito l’universo, e cosmici sono i pianeti per Pitagora. Un’indagine sistematica dei testi ha portato la Cianci a fornirci questo interessante profilo: che cioè l’interesse dei Greci fra gli elementi costitutivi della bellezza si rivolgeva principalmente alla statura, alla voce, e anche più ai capelli, al naso, alla barba, agli occhi e al seno. Per le gambe, sono connotate soprattutto le cosce, le caviglie e i piedi. I capelli hanno da essere lunghi, soprattutto per le donne, «che talvolta si servono anche di capelli altrui per avere un bell’aspetto» (Artemidoro, II secolo d. C.); e quanto agli uomini, i capelli lunghi e biondi sottolineano il valore dei guerrieri, e per questo a Sparta erano imposti ai giovani. Caratterizza invece i filosofi il fatto che «per risparmiare, nessuno di loro va mai dal barbiere né ai bagni» (Aristofane nelle Nuvole). Ma Aristotele li portava corti.
Quanto all’opposto, alla bruttezza, i Greci possedevano un campionario umano nella loro stessa letteratura e nella mitologia. Efesto, Tersite, Socrate erano sgraziati nel volto e nel corpo da far ridere. Esopo era repellente. Persino Pericle aveva un cranio così voluminoso che fu sempre ritratto con l’elmo in testa. E le donne potevano dirsi brutte se di volto deforme, collo corto e posteriore poco pronunciato.
L’analisi si approfondisce ancora verso la fine del volume, componendo dei ritratti ideali e significanti, legando ancora più strettamente l’estetica alla fisiognomica. Per cui la chioma scarmigliata si addice ed esprime lutti e dolori, mentre le chiome ricadenti suscitano fremiti: ammirabili, dice Ovidio nelle Metamorfosi, quei capelli agitati sulle spalle eburnee e cadenti senza cura sul collo. Gli occhi non siano piccoli, meschini e scimmieschi; né troppo grandi, lenti e bovini. Il naso non grosso in punta (irascibile), né ricurvo come nei corvi gracchianti, né aguzzo come nei cani, ma smussato perché così è quello dei leoni.
Forse la più veramente bella descrizione della bellezza armonica e appropriata alla sorte umana, che non quella ideale e degli dèi olimpici, si trova in due dei ritratti delineati in una sua operetta omerica da Isacco Porfirogenito, principe e scrittore bizantino del XII secolo, oggetto di particolare studio da parte della Cianci. Ecuba regina di Troia è una vecchia dal colorito di miele, occhi belli e bel naso, tranquilla, e pure ha scavalcato tutte le donne per sventura. Andromaca sua nuora, di media altezza, è magra, con bel naso e begli occhi, belle sopracciglia, capelli ricci e biondi lunghi all’indietro, rapida di mente e con le guance sorridenti, e pure è moglie di Ettore e madre di Astianatte.
Dorella Cianci, Corpi di parole, prefazione di Giuseppe Tognon, Edizioni Ets, Pisa, 2015

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