Le sirene, una malattia oltre il mito

Stefano Bucci, “Corriere della Sera – La Lettura”, 1 luglio 2018

Tutta la potenza e la modernità di un mito.

Quello delle giovani donne-pesce che spuntavano dalle acque del mare e che, con il loro dolcissimo canto, incantavano i naviganti facendoli naufragare (in realtà Omero nel XII libro dell’Odissea le descrive semplicemente «sedute sul prato», l’iconografia classica le voleva metà donne e metà uccelli). Un mito tuttavia capace da sempre di conquistare gli artisti con il fascino della bellezza mostruosa. Perché di sirene (anche nelle loro più classiche mutazioni, quelle dei Tritoni, delle Nereidi, quelle celebrate dagli Etruschi, dai Greci, dai Romani) è affollato ancora oggi un immaginifico bestiario che assembla le creature inventate dall’anonimo artigiano che attorno al 1100 scolpisce, in pietra, il capitello della chiesa di San Sigismondo, a Rivolta d’Adda (Cremona), e dall’«armoraro» Filippo Negroli che nel 1543 crea un fantastico elmo in ferro e oro (oggi al Met di New York); dall’Arcimboldo e da Marc Chagall; da Auguste Rodin e da John William Waterhouse.
Paradossalmente, però, la mostra aperta fino al 30 settembre al Museo nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma (La sirena: soltanto un mito?) parte dalla classicità, quella di un raro ex voto del IV-III secolo a.C. ritrovato nella necropoli di Veio nell’Ottocento, per avvicinarsi in maniera sorprendente alla contemporaneità, una contemporaneità che coinvolge mito, religione, arte, scienza e medicina: quella, recente, delle sirene secondo Kiki Smith (Sirens), creature demoniache che sul corpo confondono piume e squame; quella della sirena con il volto della top model Kate Moss fusa in oro da Marc Quinn (Siren, 2008); quella della grande scultura blu scuro (Mermaid, 2017) che occupava Punta della Dogana durante la monografica-evento di Damien Hirst a Venezia. Quella di figure indefinite tanto nella loro diversità (una coda da pesce, la pelle verde, le corna da cervo) quanto nel loro sesso (così, nel 2012, Elmgreen & Dragset avrebbero potuto senza tanto scandalo piazzare nella baia di Elsinore Han, versione maschile in alluminio della Sirenetta di Copenaghen).
Intorno a questo singolare intreccio di mitologia e di scienza (che ha visto coinvolti, oltre al Museo di Villa Giulia, altre istituzioni romane come il Dipartimento di medicina molecolare del Museo di storia della medicina, il Polo museale della Sapienza, la Fondazione San Camillo Forlanini) ruotano racconti e immagini che fanno comprendere come nel mondo antico alcune malattie — per esempio il nanismo e l’epilessia — fossero ritenute straordinarie. E come, nel mondo etrusco, numerose manifestazioni del sacro venissero collegate in maniera quasi automatica all’evidenza di anomalie o di «comportamenti divergenti dalla norma» in bambini a loro volta ritenuti prodigiosi. E come, ancora, nella letteratura latina ricorressero di frequente termini quali monstrum o prodigium, paragonabili al greco téras e (allo stesso modo) destinati a esprimere concetti legati al soprannaturale, più o meno funesto. Concetti che potrebbero essere oggi tranquillamente utilizzati per Il mostro della laguna nera dell’horror di Jack Arnold (1954) come per l’uomo anfibio di La forma dell’acqua di Guillermo del Toro (2017, Leone d’Oro a Venezia, quattro Oscar tra cui miglior film e miglior regista).
L’ex-voto che fa da «pretesto» alla mostra evoca, in maniera suggestiva e molto chiara, un corpo affetto da una rarissima malformazione congenita, la sirenomelia, grave patologia che determina lo sviluppo di un singolo arto, simile a una coda di pesce. Dunque, il lato scientifico della diversità. A sottolinearlo arriva dal Museo di anatomia patologica della Sapienza il reperto anatomico di una neonata affetta appunto da sirenomelia. All’elemento prodigioso (e poetico) volutamente si contrappongono lo «sguardo tecnico» degli strumenti chirurgici, di quelli diagnostici e delle cartelle cliniche; e poi quello «sociale». Nella Grecia classica Platone sognava un mondo senza patologie mentre Ippocrate e la sua medicina si basano sull’edificazione di una società risanata dalle malattie. Sarà soltanto la cultura alessandrina che sceglierà di rappresentare con verismo (e talvolta compiacimento) la decadenza fisica e la malattia.
Sono storie e suggestioni di religione, scienza, arte e medicina che fanno comprendere come nel mondo antico, al pari della sirenomelia, fossero ritenute «straordinarie» altre patologie rare. Tra queste, il nanismo acondroplastico che avrebbe colpito la tozza figurina intenta a liberare un picchio nero in una pittura della Tomba François di Vulci. O la progeria, malattia genetica che si manifesta nei bambini con evidenti segni di invecchiamento e con uno sviluppo precoce di malattie tipiche delle persone anziane: quella che avrebbe afflitto Tagete, il fanciullo divino dalle sembianze di vecchio, raffigurato nella Gemma Castellani, agata di età micenea (nella collezione del Museo etrusco di Villa Giulia). La stessa malattia che potrebbe avere manifestato Benjamin Button nel racconto breve di Francis Scott Fitzgerald (1922). Ancora una volta, nel mondo antico come in quello contemporaneo, la storia e, in qualche modo, la celebrazione della diversità. In tutte le forme.

Arnold Böcklin, Le sirene tentatrici (1886)

Eva Cantarella, Da mostri a seduttrici per merito di Omero

Per noi le sirene sono donne bellissime, con la parte inferiore del corpo in forma di pesce. Ma la tradizione che dà loro questa forma non è greca, nasce solo nel Medioevo: per i Greci le sirene avevano testa di donna e corpo di uccello, come ce le mostra tra l’altro un celebre vaso, sul quale svolazzano sopra la barca di Ulisse, che si è fatto legare all’albero dai compagni per ascoltare il loro canto senza fare la terribile fine che aspetta chiunque lo ascolti. Come scrive Omero, chi sente la loro voce «mai più la sposa e i piccoli figli,/ tornato a casa, festosi lo attorniano,/ ma le sirene dal canto armonioso stregano/ sedute sul prato: pullula in giro la riva di scheletri/ umani marcenti; sull’ossa le carni si disfano». Lungi dall’essere affascinanti, le sirene greche erano simili alle Arpie, anch’esse metà donna e metà uccello, temute perché, oltre all’abitudine di rapire i bambini, avevano il compito di accompagnare le anime nell’aldilà. E lì giunte cedevano il passo alle sirene, che con voce sgradevolissima, gracchiando, le conducevano da Ade e Proserpina, i sovrani di quel terribile mondo. Per i Greci, insomma, le sirene erano demoni dell’oltretomba. Ma come, perché accadde che in Omero perdessero l’inquietante somiglianza con le Arpie e acquistassero una voce melodiosa, cui nessuno poteva resistere? Tra le ipotesi, quella che Omero, che a volte attingeva ai racconti popolari (come prova il personaggio di Circe, la maga con la bacchetta), si sia ispirato a un uccellino dalla voce melodiosa e incantatrice, famoso nel folklore orientale. Ma ammesso che questa sia la spiegazione, un mistero resta: cosa cantavano le sirene? Svetonio racconta che l’imperatore Tiberio perseguitava i grammatici con questo interrogativo, al quale nessuno sapeva rispondere. Meglio così: il segreto della seduzione ingannevole rimane e ciascuno di noi può continuare a cercare e trovare la sua risposta.

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Il sito latinorum.tk è nato per accompagnare le mie lezioni dedicate alla cultura latina, per proporre divagazioni "extra ordinem" sulla classicità e per condividere in rete percorsi e materiali. Si tratta di un lavoro in fieri, che si arricchirà nel tempo di pagine e approfondimenti. Grazie anticipatamente a chi volesse proporre commenti, consigli, contributi: "ita res accendent lumina rebus…" Insegno Italiano & Latino al Liceo Scientifico ”G. Galilei” di San Donà di Piave, in provincia di Venezia. Curo anche il blog illuminationschool.wordpress.com e un sito dedicato a Dante e alla Divina Commedia, www.dantealighieri.tk.
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