Se l’ultima rivoluzione a scuola è la fuga da Tacito e Cicerone.

studenti_lingue_classiche

Cinque anni dopo la riforma degli indirizzi crollano gli iscritti ai licei.

E lo studio del latino

Stefano Bartezzaghi, “La Repubblica”, 30 settembre 2015

SUNT lacrimae rerum o Sic transit gloria mundi? Ognuno avrà il suo modo per salutare la notizia che dopo sei anni la riforma Gelmini ha assottigliato il novero degli studenti che si avvalgono dell’insegnamento del latino. Gli iscritti al liceo classico, dall’anno scolastico 2009/1010, si sono quasi dimezzati, dai 273 mila di allora ai 150 mila e rotti di oggi. Negli altri licei le ore di latino si sono ridotte, dove non sono scomparse, e alla fine dei conti 181mila studenti liceali, il 16 per cento, si sono del tutto delatinizzati, mentre un’altra buona quota studierà il latino per meno ore di prima (non raggiungendo così la competenza necessaria a studiare testi non elementari).
Come ha segnalato in un commento il latinista Maurizio Bettini, la questione non riguarda solo i programmi scolastici, né solo il latino. Investe i metodi di insegnamento e, alla fine dei conti, la considerazione che un’intera cultura ha dei suo passato. Dal punto di vista di un adolescente, la sostanziale abolizione del latino non è poi molto diversa da quella della naja. Un parere un poco meno interessato, e acerbo, trova invece che ci sia qualcosa che va al di là dell’onerosa necessità di imparare rosa rosae, o il presentat’arm.
I programmi scolastici sono, infatti, un’immagine di quello che una cultura vuole sia trasmesso di sé, del modo in cui intende tramandarsi e, certo, trasformarsi. L’idea che la scuola fornisca sapere utili è solo apparentemente ragionevole: dovrebbe allora insegnare a sostituire pneumatici forati e a ripristinare collegamenti internet interrotti; la scuola italiana, in particolare, dovrebbe concentrarsi su materie come “Contenimento dei danni da alluvione”, “Principi di modulistica universale” o “Comparatistica dei contratti per servizi telefonici, televisivi e telematici”, perché i diplomati sappiano come cavarsela nelle più frequenti evenienze della vita. Non solo il latino mala quasi totalità delle altre materie liceali hanno scarso impatto sulle abilità, le cosiddette “competenze”, del futuro cittadino. Il De rerum natura non aiuta a capire se il proprio computer ha beccato un virus. Ma mentre i saperi tecnici corrispondono a professioni e servizi presenti sul territorio, la cultura cosiddetta generale è materia scolastica oppure, semplicemente, non è. Siamo pronti a far fuori il latino non dalla scuola bensì dalla cultura italiana?
Non è una domanda retorica: già un medio diplomato liceale sa poco o nulla di storia dell’arte, nulla di musica, pochissimo di geografia e di cultura ambientale; tutte lacune che non paiono insignificanti, per un Paese la cui vocazione turistica e culturale viene retoricamente evocata ogni volta che appaia conveniente. Togliamo anche il latino, così avremo presto il tempo di farci venire dubbi anche sulla filosofia, sulla storia, sulla letteratura e, attenzione, biologia, chimica, fisica e persino matematica. Si fa certamente meno fatica a defalcare interi pezzi di insostituibile cultura, se non civiltà, nazionale che non a rinnovarne l’insegnamento, adattandolo per contenuti e modalità alle esigenze contemporanee. Sarebbe quest’ultima, la sfida più appassionante: come insegnare il latino in modo che il suo insegnamento tramandi anche le ragioni della sua necessità e il possibile godimento della sua bellezza.
Detto questo, è anche molto chiaro che il problema della scuola non è solo un problema di formazione, di istruzione o, gli Dèi ce ne scampino, di “educazione”: non si tratta cioè di costruire nuovi stampini in cui riversare le duttili coscienze, e ignoranze, dei nostri piccoli. I nuovi media, il crollo delle strutture di mediazione, la società dello spettacolo e le conseguenze sociali e psichiche della globalizzazione impongono di considerare problemi oramai neppure più inediti: il perduto primato della lettura e della parola scritta, il perduto prestigio dei titoli di studio, il perduto carisma di strutture disciplinari quando non repressive, come la vecchia (a volte più che buona) scuola. Già gli standard degli anni Settanta e Ottanta del Novecento appaiono irraggiungibili. Ma anziché abolire le materie occorrerebbe cambiare le forme dell’apprendimento scolastico, programmi di studio e metodi di verifica. Sarebbe questo l’unico modo di preservare quanto di più italiano, altrove irripetibile, possa essere trasmesso alle generazioni a venire: una cultura, ossia l’unica identità che possiamo dirci certi di avere, o aver avuto.

7299 Total Views 1 Views Today
Print Friendly, PDF & Email
Facebooktwitteryoutube

Facebooktwitterpinterest

Informazioni su Mrsflakes

Il sito latinorum.tk è nato per accompagnare le mie lezioni dedicate alla cultura latina, per proporre divagazioni "extra ordinem" sulla classicità e per condividere in rete percorsi e materiali. Si tratta di un lavoro in fieri, che si arricchirà nel tempo di pagine e approfondimenti. Grazie anticipatamente a chi volesse proporre commenti, consigli, contributi: "ita res accendent lumina rebus…" Insegno Italiano & Latino al Liceo Scientifico ”G. Galilei” di San Donà di Piave, in provincia di Venezia. Curo anche il blog illuminationschool.wordpress.com e un sito dedicato a Dante e alla Divina Commedia, www.dantealighieri.tk.
Questa voce è stata pubblicata in Didattica delle lingue classiche e contrassegnata con , , . Contrassegna il permalink.