Tutte le morti di Alessandro Magno

Francesco Maria Galassi, “Corriere della Sera – La Lettura”, 10 febbraio 2019

La morte di Alessandro Magno, avvenuta nel giugno del 323 a.C. a Babilonia, rappresenta da 2.342 anni il più grande mistero medico della storia. La sola idea che un condottiero capace, così giovane, di piegare l’antico ed acerrimo nemico dell’Ellade, l’Impero persiano, in pochi anni, estendendo i confini del mondo greco all’Egitto e all’India, potesse spegnersi così repentinamente, il solo pensiero che una storia così travolgente potesse interrompersi proprio nel momento in cui le armate macedoni stavano per invadere — e scoprire — l’Arabia, è stata assai difficile da accettare per generazioni di appassionati di storia antica. Questa mancata accettazione di un fenomeno naturale, la morte, insieme alla miriade di versioni contrastanti, spesso di dubbia veridicità, degli ultimi giorni di vita del condottiero, è all’origine della lunga lista di interpretazioni sulla fine di Alessandro.
Quot capita, tot sententiae, avrebbero detto gli antichi… noi parafrasiamo «quanti gli esperti, altrettanti i pareri». E di pareri ne sono stati formulati davvero tanti, raggruppabili in due macro-aree, quella a cura degli storici e quella prodotta dai medici appassionati di storia. La prima schiera si è sostanzialmente attestata su due teorie: l’avvelenamento (teoria facilmente confutabile e più volte confutata, ma antica e ciclicamente riproposta) e la malaria, malattia infettiva oggi di fatto scomparsa alle nostre latitudini, ma un tempo flagello del mondo mediterraneo. La seconda schiera, anche grazie al superiore grado di approfondimento delle scienze biomediche, è stata quella più prolifica nel produrre nuove interpretazioni sulla morte di Alessandro, tra cui l’intossicazione acuta da alcol, l’epatopatia alcolica, una depressione seguita da immunodepressione, dissecazione post-traumatica della carotide interna, sindrome di Boerhaave, encefalite causata dal virus del Nilo occidentale, leucemia, ecc. In Italia, la teoria che ha avuto più successo, anche in conseguenza dall’ampio spazio datole dal celebre romanziere Valerio Massimo Manfredi nel suo saggio La tomba di Alessandro, è quella che vuole il re vittima di una pancreatite acuta necrotizzante, una infiammazione devastante del pancreas, teoria proposta per la prima volta da Sbarounis negli anni Novanta. Non si può negare che alcune fonti antiche, quali Giustino e Diodoro Siculo, menzionino un dolore improvviso, quasi venisse trafitto da un giavellotto, avvertito da Alessandro (evento che precede l’inizio del suo declino fisico). La diagnosi di pancreatite acuta necessiterebbe, però, anche di altri sintomi, tra cui il vomito e la dolorabilità addominale, mai citati nelle fonti antiche.
L’ultima ipotesi è quella della dottoressa neozelandese Katherine Hall, che propone una malattia neurologica autoimmune, la sindrome di Guillain-Barré, quale spiegazione del decesso di Alessandro, che addirittura sarebbe stato considerato morto, pur essendo ancora vivo. Da qui è derivata e si è diffusa in maniera virale la versione vulgata, ancora più fantasiosa, secondo cui «Alessandro fu sepolto vivo». Giova ricordare che il cadavere del Macedone non fu mai sepolto, bensì venne imbalsamato. Tolomeo, un tempo generale di Alessandro e ormai padrone dell’Egitto, non perse tempo e si impossessò del feretro che trasportava le spoglie del suo antico signore: la mummia di Alessandro venne trasportata nella terra dei Faraoni. Per secoli la mummia si trovò ad Alessandria d’Egitto, città fondata da Alessandro stesso, e fu oggetto di visite celebri, forse anche di quella di Giulio Cesare, certamente da parte di Augusto che, piegandosi su di essa, finì per fratturarne accidentalmente il naso, per concludere con l’intervento dell’imperatore romano Caligola, che fece rimuovere la corazza del condottiero per possederla egli stesso.
Sul finire dell’antichità classica, in seguito alle numerose devastazioni della città di Alessandria, si è perso traccia sia della tomba che della mummia di Alessandro. Questo solo elemento — l’assenza del corpo — limita fortemente la nostra capacità di effettuare una diagnosi retrospettiva accurata, determinando una volta per tutte la causa mortis. Rimangono le già citate fonti, successive peraltro all’epoca in cui si svolsero i fatti, che richiedono grande cautela interpretativa. Formulare nuove ipotesi sulle cause di morte dei grandi del passato è senz’altro legittimo e lo studio della Hall presenta elementi di grande interesse, quali l’effettiva capacità degli antichi di certificare il decesso di un individuo sulla base dei parametri fisiologici (circolazione, respirazione).
Questo genere di studi, tuttavia, per poter rivendicare credibilità in seno alla ricerca, dovrebbe seguire le linee guida proposte dalla Paleopathology Association o, comunque, sforzarsi di raccordare le interessanti speculazioni mediche con la storia della malattia analizzata e con il contesto storico e culturale in cui questa diagnosi è formulata. Lo studio della Hall, per esempio, omette di analizzare filologicamente nelle lingue originali (greco e latino) i passi chiave portati a supporto della propria tesi, non fornisce argomentazioni sufficienti a confutare teorie proposte in precedenza, non considera il fatto che non c’è prova dell’esistenza della sindrome di Guillain-Barré nel IV secolo a.C. (venne descritta scientificamente solo nel 1916), come pure manca l’evidenza (e le fonti letterarie comunque non basterebbero a fornirci questo dato) che Alessandro avesse sviluppato un’infezione da Campylobacter pylori o altri patogeni, a cui sarebbe seguita una risposta del sistema immunitario capace di aggredire paradossalmente il corpo del Macedone. Infine, il dato più contestabile: la probabilità della diagnosi asserita sulla base della attuale epidemiologia della sindrome nell’Iraq contemporaneo!
Attenendoci ai dati ricavati dalle fonti antiche, analizzati attraverso le lenti della filologia e della medicina moderna, le due diagnosi più probabili e realistiche nel caso di Alessandro restano la malaria terzana maligna e il tifo addominale, tesi quest’ultima sostenuta da Ernesto Damiani nel suo saggio meticoloso La piccola morte di Alessandro il Grande (Padova, 2012).
Il caso è aperto, forse lo sarà per l’eternità, ma il fatto che non possa essere messa la parola fine al mistero non significa che qualsiasi diagnosi possa essere formulata in barba al rigore logico e ai dati a nostra disposizione. Il dibattito andrà avanti ancora per molti anni. A vincere sarà forse il diagnosta più preciso oppure quello più spettacolare? Alessandro stesso, in punto di morte, a chi gli domandava a chi avrebbe lasciato il suo regno pare abbia risposto: «Al più forte». Così forse sarà anche nell’agone intorno alle cause del suo decesso.

Valerio Massimo Manfredi, La persistenza del mito

L’ardore di Achille, la mente di Ulisse
E la terra ammutolì al suo cospetto

La mitologia del re macedone nasce quando il suo corpo è ancora caldo: presi da liti furibonde fra chi vuole mantenere l’unità del suo impero fino a che nasca un figlio maschio dalla sua sposa Rossane e chi vuole dividerlo in vari regni, i suoi generali dimenticano che il suo corpo giace da parecchi giorni abbandonato nel palazzo reale di Babilonia, nel colmo della calura dell’estate mesopotamica. Quando finalmente vengono inviati gli imbalsamatori a prendersi cura della salma di Alessandro, invece di un cadavere in avanzato stato di putrefazione trovano un corpo intatto che emana un profumo celestiale tanto che si rifiutano di toccarlo temendo di profanare il corpo di un dio. Nello stesso tempo gli agiografi del re macedone avevano creato la notizia giunta fino a noi che al suo arrivo a Babilonia Alessandro aveva trovato ambasciate da tutto il mondo (Roma compresa!) per riconoscerlo come sovrano universale.
Già si era diffusa la favola che Alessandro non era figlio di Filippo II ma di Zeus Amon che aveva posseduto sua madre Olimpiade sotto le sembianze di un serpente. Ma il mito nacque anche dallo stesso Alessandro: la sua morte prematura faceva immaginare cosa avrebbe fatto se ne avesse avuto il tempo, l’incredibile coraggio che gli fece guidare la carica di Gaugamela in sella a Bucefalo quando tutto ormai sembrava perduto, l’apparente invulnerabilità che egli rese autentica mostrando il torso nudo tempestato di cicatrici ai suoi soldati in rivolta; il suo sguardo ardente, la vitalità senza limiti che lo faceva riapparire sui campi di battaglia quando ormai tutti lo credevano morto, la possanza guerriera di Achille e la mente di Odisseo, il furore selvaggio del guerriero arcaico e la mente riflessiva del filosofo, l’eloquenza travolgente, la sua iconografia affidata al genio plastico di Lisippo e a quello pittorico di Apelle e a nessun altro.
Non fu l’immensità dei territori conquistati a farlo grande, ma la grandezza dei suoi pensieri e dei suoi sogni. La capacità di fondere insieme mondi che neppure sapevano l’esistenza gli uni degli altri e amalgamarli come in un crogiolo per crearne un altro nuovo e diverso. Fu quel mondo a costruire la più grande nave che avesse solcato i mari, la più grande statua mai innalzata, la più grande biblioteca, la torre del Faro il cui raggio era visibile da quaranta chilometri. Per questo ancora oggi continuiamo a cercare il suo corpo e la sua tomba perduta. Per questo il primo libro dei Maccabei descrive così l’effetto della sua titanica apparizione: et siluit terra in conspectu eius, «e la terra ammutolì al suo cospetto».

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Il sito latinorum.tk è nato per accompagnare le mie lezioni dedicate alla cultura latina, per proporre divagazioni "extra ordinem" sulla classicità e per condividere in rete percorsi e materiali. Si tratta di un lavoro in fieri, che si arricchirà nel tempo di pagine e approfondimenti. Grazie anticipatamente a chi volesse proporre commenti, consigli, contributi: "ita res accendent lumina rebus…" Insegno Italiano & Latino al Liceo Scientifico ”G. Galilei” di San Donà di Piave, in provincia di Venezia. Curo anche il blog illuminationschool.wordpress.com e un sito dedicato a Dante e alla Divina Commedia, www.dantealighieri.tk.
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